ONE MONTH OF LOVE – Un mese d’amore

Cantava il mio adorato Freddie Mercury: “Just one year of love is better then a lifetime alone…” (trad.: un solo anno d’amore è meglio di una intera vita da soli) e per me, ora che sono qui, questa frase vale per ogni singolo giorno.

One year of love – Queen

Il tempo si sa, corre veloce e ci sfugge dalle mani, lasciandoci spesso la sensazione di non esserci passati attraverso a quelle giornate di vita. Questa volta però non è così, non per me. E’ un mese esatto che sono espatriata e diventata a tutti gli effetti bretone, e di questi 30 giorni ho ricordi netti, intensi e presenti.

Il 28 marzo, insieme a Laura (Scheggia), Francesco e Francesca (I Frenkis), abbiamo caricato due macchine, e per caricato intendo fino al tetto dell’auto, gabbia con coniglio inclusa, chiuso la porta di Via Daddi e siamo partiti alla volta della Bretagna. Salutare mia madre sotto casa è stata una delle cose più difficili del mondo, ancora adesso, mentre lo scrivo, gli occhi mi si ingolfano di lacrime; perché se è vero che non sono partita in direzione Luna a bordo di uno shuttle a carbone, e che, male che possa andare, in aereo ci vogliono al massimo 5 ore comprensive di uno scalo, dire al tuo affetto più grande “Arrivederci”, sapendo che vorrebbe esserti sempre vicino per aiutarti, è uno sforzo enorme. Per fortuna che ero alla guida dell’ammiraglia, così con la concentrazione della guida, nel giro di pochi chilometri l’angoscia si è placata lasciando spazio al brivido dell’avventura. Arrivati al Frejus abbiamo fatto una breve sosta, per darmi il tempo di salutare l’Italia. Poi il tunnel, metafora della rinascita, e 40 euro in meno ed ecco che siamo in Francia.

Il primo giorno di viaggio è quasi volato, anche se le tempistiche si sono un po’ allungate strada facendo, così siamo giunti al bed and breakfast prenotato per la sosta che già faceva buio. Chupito, il mio coniglio, era talmente traumatizzato dal viaggio che non è nemmeno uscito dalla gabbietta una volta liberato nella stanza.

Il secondo giorno, a metà strada, la Gisella III, la mia ammiraglia, a momenti ci lascia a piedi, fortuna che l’avevo portata ben tre volte in Midas perché fosse messa a punto per affrontare 1500 chilometri di viaggio carica a tuono. E fortunati i meccanici della Midas che si trovavano già a 1200 chilometri da me, perché la voglia di prenderli a schiaffi è stata tantissima. Riusciamo a proseguire il viaggio, un po’ meno rilassati certo, ma in serata giungiamo a destinazione. Qualche convenevole con la mia nuova proprietaria di casa e poi, dopo aver sistemato qualcosa e mangiato una bella pastasciutta, ci siamo buttati sotto le gelide coperte della mia nuova gelida casa.

I giorni son trascorsi tra uno scatolone e l’altro, il camion con la mia casa dentro è arrivato puntuale e con tutto il materiale intonso, abbiamo fatto spese come se non ci fosse un domani, o meglio, spesa per un sacco di futuro davanti. Abbiamo anche trovato il tempo di fare delle gite, di goderci tutti insieme la bellezza di questa terra, siamo stati a un concerto, abbiamo mangiato tonnellate di pesce e crostacei, bevuto birra, vino, sidro, lambig, rum, vodka, non per forza in quest’ordine e comunque ogni tanto ci siamo idratati con dell’acqua. Così, tra un documento ottenuto e una macchina risistemata dai tecnici Peugeot, tra una folata di vento e una camminata sulla spiaggia, qualche giorno prima della loro ripartenza siamo andati, insieme anche ad una coppia di miei amici di qui, alla Pointe du Raz, in pellegrinaggio come da copione. E il Finistère si è rivelato in tutta la sua maestosità, rovesciandoci addosso litri di pioggia, ma solo da un lato! Quello rivolto all’oceano, chiaramente, da cui provenivano schiaffi d’aria direttamente dalla scogliera. Ma qui, si sa, il tempo cambia in fretta ed a questo si aggiunge la magia e la sacralità del luogo, per cui è bastato chiedere a mio padre, mentre osservavo il Phare de la Vieille resistere al Raz de Sein, la corrente fortissima che divide in due questo punto di oceano, di regalarmi un arcobaleno… e se non ci fossero stati i miei amici presenti potreste benissimo dire che sto romanzando il racconto, ma sono scesa dallo scoglio su cui mi ero arrampicata per rivolgere i miei pensieri e dare un saluto a mio padre, ho alzato lo sguardo e, con gli occhiali fradici di pioggia, l’ho visto, l’abbiamo visto. Un doppio arcobaleno completo, abbracciava tutto il promontorio ed era luminoso e pieno di colori, contrastato dalle nubi nere che minacciose ancora puntavano verso di noi. Ecco, in quel momento, in quel preciso momento mi è scoppiato il cuore, tutta la fatica di questi ultimi mesi è stata spazzata via da un istante di bellezza assoluta, le incertezze e i dubbi si sono dissolti come vapore acqueo, la tristezza ha lasciato spazio alla meraviglia e le mie lacrime scendevano leggere sulle guance e cadendo a terra si mischiavano con la pioggia, continuando così il ciclo naturale dell’acqua. Questa è l’immensità del regalo che ho ricevuto; c’era tutto in quell’arcobaleno: c’erano i miei amici, c’era l’amore di papà, c’era mia mamma davanti al cancello di casa, c’era il mio passato, c’era il mio futuro, c’era la Bretagna e c’ero io, nuda sotto strati di antipioggia e nylon, ma mai così vicina al mio cuore.

 

Il 7 aprile sono ripartiti ed io, quel giorno, mi sono sentita a tutti gli effetti emigrata, per la prima volta. Le settimane a seguire le ho trascorse sistemando casa, facendo nuovi documenti per il mio trasferimento e ricevendone altrettanti via posta, tra cui anche il modulo dell’RSI (equivalente all’INPS) per la dichiarazione dei redditi, ma soprattutto girando nei dintorni, per scoprire cosa c’è “vicino a casa”. Ho fatto tutte le carte Fidaty dei supermercati della zona, ed ogni volta che compilavo il modulo e scrivevo il mio nuovo indirizzo, mi si stampava in faccia un sorriso ebete. Ho scoperto spiagge mai viste prima, camminato in boschi dei quali ignoravo persino l’esistenza, sono andata a fare la pesca a piedi, una delle principali attività del bretone nel tempo libero, sono stata a concerti, ho ballato ed iniziato a conoscere gente, anche se ancora non ho il numero di telefono di nessuno, ma soprattutto, un giorno alla volta, mi sono sempre più innamorata di questa terra.

Se già si ama immensamente è possibile far aumentare questo amore? Mi sento come una dodicenne al suo primo bacio: alla sera, nella mia stanza, continuo a pensare e ripensare alle meraviglie viste, al giallo intenso dei campi di colza che sembrano murales, al profumo dell’aria vicino alle scogliere, alle migliaia di canti di uccelli che intonano il loro saluto al sole tutte le sere, alle varietà di verde e di azzurro che non esiste scala colori che li possa riprodurre, alla ricchezza di questo mare che è bello da vedere e buono da mangiare, alle persone che ti salutano sempre, alle case di pietra che sono tutte dei piccoli gioielli incastonati fra giardini perfetti, agli alberi di camelie e alle distese di aglio selvatico che ne senti l’odore a distanza, ai tramonti infiniti che il sole sembra non volersene mai andare, alla pace e la tranquillità che albergano in me da quando ho messo piede qui.

E piano piano, come è naturale che sia, gli occhi si appesantiscono e finiscono per chiudersi.  Nove ore dopo mi sveglio, la giornata ricomincia, penso “chissà se oggi avrò notizie della mia Ape”, perché ho voglia di iniziare a lavorare, perché ho voglia di costruirmi davvero la mia routine qui e perché voglio capire. Dormo nove ore solo perché sono ancora in vacanza o perché qui, finalmente sono felice?

 

 

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One comment

  1. samira · Maggio 2, 2016

    Goditi tutto piccola mia. Continua ad assaporare ogni momento e non dimenticare mai che sei l’artefice della magia delle cose che ti accadono e vivi.
    Tvb

    Piace a 1 persona

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