C’è stato, per noi tutti, un momento in cui qualcuno ci ha detto “non aprire quel cassetto” o “non sbirciare dietro alla porta chiusa”, e noi, da bravi disubbidienti, come prima mossa, una volta rimasti soli, abbiamo fatto il contrario di ciò che ci era stato raccomandato. Così fu per Pandora, la prima donna creata da Efesto, su commissione di Zeus; una ragazza bellissima, a cui gli dei dell’Olimpo diedero in dono diverse virtù, tra cui la curiosità. Ma Pandora era curiosa più di un furetto nano albino, che è risaputo esser l’animale più impiccione del pianeta Terra, e al primo divieto di aprire una scatola ha ben pensato “sticazzi! Io voglio proprio vedere che c’è dentro!”. E così ci ricordiamo di lei ancora oggi, come di quella stronza che ha liberato tutti i mali nel mondo, lasciando sul fondo della scatola proprio la Speranza, che forse era l’unica cosa che sarebbe dovuta uscire da quel pacco di regalo fatto da Zeus.
A me le persone curiose son sempre piaciute un casino, forse perché faccio parte di esse e quindi sono assolutamente di parte quando dico che a me, sta Pandora, mi sta pure simpatica. Perché pensa che palle, venire al mondo in un pianeta di dei, praticamente tutti uomini, incazzosi, vendicativi e pieni di sé. Alla prima occasione anche io avrei fatto di tutto per fare una cazzata che sarebbe passata alla storia, solo per prendermi un briciolo di popolarità e dare un senso al mio passaggio. Ed è con questo spirito che è iniziato tutto, la curiosità di vedere fin dove sarei potuta arrivare e ora che son quasi al traguardo posso dire che ne è valsa davvero la pena.
Un mesetto fa sono andata in Bretagna una settimana, per sbrigar faccende burocratiche ed in quei 7 giorni ho aperto ufficialmente l’attività “TARAGNA IN BRETAGNA” , ho ottenuto un domicilio ed aperto un conto in banca. Senza parlare del fatto che una volta registrata l’attività automaticamente sono stata inserita nella previdenza sociale, riceverò per posta la mia Carte Vitale, l’equivalente della nostra tessera sanitaria e tutto senza dover andar più in alcun ufficio. 7 giorni, come quella famosa telefonata mena iazza con la vocina registrata: “7 giorni…”
Al mio rientro ho iniziato ad impacchettare casa e lì ho avuto un’immagine chiarissima del volto di Pandora all’apertura del vaso, che poi era uno scrigno; l’occhio sgranato, la bocca spalancata, le sopracciglia alla Shining e una manciata di zampe di gallina ad incorniciare l’intera espressione, nel momento esatto in cui ha inventato la parola “sticazzi”. Per uno scatolone che chiudevo, altri dieci attendevano di esser riempiti e poi altri dieci ancora, in un’orgia continua di strappi di scotch e cassetti che vomitavano oggetti di ogni tipo. In questi nove anni di vita singola ho accumulato una quantità di carta che alla Fabriano hanno appeso una mia foto all’ingresso, sulla quale spicca un epitaffio che cita le mie parole: “questo lo tengo che poi magari ci faccio del decoupage”. Per non parlar dei vestiti, che per ogni volta che ho pensato che in fondo non avevo un cazzo da mettermi l’armadio aveva un tremito. Ed i giorni son volati, gli scatoloni si sono impilati in un Tetris perfetto, ma rimanevano sempre in giro cose, cose su cose e altre cose che cosavano cose al loro interno. Dentro a ste cose ho trovato addirittura Pandora, vi saluta!
Il fatto è che, affrontare un trasloco è già di per sé un colossale sbattimento, se poi gli si aggiunge la variante “trasloco all’estero in una casa provvisoria” le cose si complicano non poco; perché bisogna fare scatoloni differenziati, bisogna sapere esattamente quello che servirà subito e quello che invece potrà esser messo in un magazzino nell’attesa di trovare la sistemazione definitiva. E quando il processore del tuo cervello è già saturo di pensieri e faccende da sbrigare, lo sforzo decuplica. Per fortuna che hanno inventato l’internet, che il traslocatore che non mi spennasse l’ho trovato su http://www.anyvan.com e nel giro di un paio di settimane ho ottenuto il preventivo più basso e con 1200 euro, tutto compreso, me la sono cavata. Ma come calcoli quanta roba dovrai caricare se sei convinto di avere la metà delle cose che in realtà saltano fuori dai tuoi mobili? E non è che poi dici “va beh, al massimo se resta indietro qualcosa, lo vengo a recuperare”, perché sono 1500 km di distanza da percorrere in un senso e nell’altro, non proprio una scampagnata! Ansia.
Per fortuna che mia madre mi ha dato una mano, armata di tutta la pazienza del mondo, tutta la pazienza del mondo delle Bilance, pazienza che era rimasta in fondo al vaso impigliata nella speranza, ma che con un calcio rotante deciso e micidiale è riuscita a saltar fuori prima che lo stesso si richiudesse e ha trovato fuori ad aspettarla una Bilancia, appiccicandocisi. Certo, nessuno le aveva detto che un giorno si sarebbe ritrovata a far scatoloni con un Capricorno, testardo come un mulo e ossessionato da ordini mentali che rasentano la malattia. Il giallo con l’arancione e il rosso, il verde con l’azzurro, i quadrati coi rettangoli e mai (mai!) con un ovale. Le medicine in tre scatole diverse, a seconda della sintomatologia, i bicchieri con lo stelo insieme ai bicchierini da liquore ma mai (mai!) con le tazzine da caffè. Le sciarpe coi guanti e l’attrezzatura da campeggio, le mutande con le calze e mai (mai!) insieme ai pigiami estivi. La pazienza di mia madre Bilancia nel sopportare la figlia Capricorna che disfa gli scatoloni da lei riempiti è di gran lunga la cosa più figa uscita dal vaso.
Ma tra le cose fighe di tutta questa avventura ce n’è una che mi ha attraversato il corpo come la 220. La festa. Ho invitato più o meno tutte le persone che avrei tanto voluto salutare di persona prima di intraprendere la nuova vita bretone, all’incirca 300. Gente con cui ho lavorato in questi anni, gente con cui ho studiato, gente con cui ho ballato, amato, sudato, pianto, suonato, condiviso, mangiato, collaborato. Ho invitato gente, la mia gente. E ho fatto la festa nel posto che più mi rappresentava, il Boh?! café di Milano, il bar in cui ho lasciato fegato-cervello-cuore per diversi anni ed in cui ho avuto il piacere e la fortuna di incontrare le persone speciali di cui spesso ho parlato. E ho fatto una festa nel modo che più mi rappresentava, con tanti amici musicisti ad animare la jam session più improvvisata nella storia delle jam session, con tante tantissime caramelle gommose da mangiare a manate piene, con il mio migliore amico ad infuocare la pista da ballo con la sua tamarraggine party edition. E a questa festa sono venuti quasi tutti, ed è durata quasi 10 ore, ed è stata quasi perfetta e tutti questi quasi sono qui solo perché ancora un pochino di modestia mi è rimasta, perché mi sono sentita la donna più speciale del mondo, mi son sentita Pandora il primo giorno in cui è stata creata; ammirata dagli dei, riempita di regali di ogni genere, spronata ad andare nel mondo con sicumera e spavalderia. Ovviamente non ho retto a questa botta d’amore globale (e ai litri d’alcool ingeriti) e ad una cert’ora ho iniziato a disidratarmi dagli occhi, per ogni persona che andava a casa, o quasi, lacrime grosse come palle da biliardo e singhiozzi che parevan sincopi e continuavo a ripetere che sembravo una donna incinta in pieno sbalzo ormonale.
Era ed è proprio così, perché questo progetto è il mio bambino, l’ho portato in grembo per un anno e mezzo ed ora sta per vedere la luce e tutti, o quasi, mi hanno sostenuta ed aiutata a portarla avanti sta gravidanza. Io non lo so come crescerà questa creatura, nessun genitore lo sa prima, ma ci si auspica che venga su nel migliore dei modi, a nostra immagine e somiglianza. Ci sto provando, son curiosa di vedere come andrà, ma fino ad ora sono orgogliosa delle premesse, del supporto e della forza di volontà che non mi ha mai abbandonata. E sono orgogliosa di avere 36 anni e di poter urlare a gran voce che ho un sacco di amici, ma di quello veri, che hanno capito chi sono, che conoscono me e non una proiezione dell’idea che posso dare di me, e a costo di gettare quel briciolo di modestia rimasta posso affermare con certezza che sto vaso di Pandora ha davvero dato un senso al mio passaggio, e che se anche sarà la più grande cazzata della mia vita sarò riuscita a liberare tutto il suo contenuto, non sarà rimasto niente indietro, tanto meno la Speranza!
Ed ora spengo la luce e dormo per l’ultima volta nel mio Olimpo, con un sorriso che va da orecchio ad orecchio ed il cuore che rimbalza.